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Le storie delle donne impegnate in prima linea contro l’emergenza Coronavirus

Lucia Perolari, Claudia Accardo, Marta Catoni, Daniela Turno, Laura Orsini, Martina Papponetti, Anna Travezzano, Michela Pagati… sono solo alcune dei medici e infermiere impegnate in prima linea contro il Coronavirus in Italia. Donne, madri, amiche, sorelle, mogli che ogni giorno indossano tutte le protezioni necessarie e si occupano di chi, in questo momento di emergenza, sta lottando tra la vita e la morte.

È a loro e ai colleghi uomini che l’Associated Press ha voluto rendere omaggio attraverso una serie di scatti che mostrano la fatica, la stanchezza, la tristezza e la paura nell’affrontare, fino allo sfinimento, questa pandemia che sembra non avere fine e che rivelano, sotto un’armatura fatta di camice, guanti e mascherina, il lato fragile dell’essere umano. In una foto, l’umanità in tutta la sua forza e debolezza.

In trincea contro un nemico invisibile che non risparmia nessuno, senza più contare le poche ore di sonno che riescono a concedersi, che non si lasciano andare all’emotività ma vorrebbero poter salvare tutti e che a fine turno riescono a tornare a casa comunque con un sorriso dalle proprie famiglie; dai figli, dal marito o nella solitudine di una casa vuota, lasciandosi alle spalle (per quanto possibile) morte e malattia.

Perché scegliere di occuparsi della salute del prossimo non è un lavoro ma una vocazione. Anche quando potresti rischiare la tua stessa vita. Come racconta Federica Stella, 35 anni medico del 118 con sede operativa a Mestre, Ausl Serenissima, in un’intervista su Corriere.it: «Non è un lavoro che capita perché magari non hai niente di più facile da fare. Lo devi desiderare. Una vita faticosa ma meravigliosa, non la cambierei per niente al mondo.» Federica dopo il lavoro torna nell’appartamento dove vive a Padova, auto-isolata dal compagno, nel quale si lascia alle spalle l’intensa giornata appena trascorsa cucinando e seguendo allenamenti online con un  personal trainer.





La vita, d’altronde, quarantena o meno, continua a scorrere. Ed è necessario salvaguardare la mente oltre al corpo: per non crollare e anche per trasmettere serenità e forza ai pazienti che, in questo momento di emergenza, non possono neanche contare sull’affetto dei propri familiari. Lo sa bene Ombretta Cutuli, 36 anni medico del Pronto Soccorso del San Martino di Genova che, nella stessa intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma: «Sei davanti a loro, bardata di tutto punto. Per il paziente sei due occhi, il resto coperto da mascherina, occhiali e tuta. Non c’è movimento delle labbra, non c’è sorriso mentre tu invece vorresti dirgli tante cose per rendere quel momento meno duro. Quando ti guardano spaventati, il massimo che riusciamo a fare è comunicare un po’ di serenità semplicemente toccandogli il braccio».

Ma tutti gli anni di studio, le rinunce e i sacrifici fatti per diventare un medico bastano a preparare una persona ad affrontare una simile emergenza? Forse no. Eppure, è necessario trovare dentro se stessi la capacità di andare avanti pur sapendo che la vita di prima non tornerà mai. Stella Ingrassia, 35enne impiegata al pronto Soccorso di Lodi racconta sempre al Corriere: «Ho capito subito che la vita di tutti noi stava per cambiare e che l’epidemia ci avrebbe sconvolti. Nessuno di noi però immaginava che sarebbe stato così. La realtà ha superato l’immaginazione. (…) Quando entro il tempo scorre, la fatica scompare, c’è solo voglia di darsi da fare».





Emozioni, pensieri e paure che attraversano la mente ma che non possono essere mostrate

Sono tantissime le donne impegnate nella lotta contro il Covid-19. Molte delle quali dopo il turno di lavoro tornano a casa dalle proprie famiglie con un pensiero costante in testa: “Potrei essere un pericolo per le persone che amo?”.

Donne che scelgono di auto-isolarsi per proteggere chi amano di più, che non abbracciano e baciano più i loro cari per il terrore di contagiarli, nonostante tutte le precauzioni prese durante le ore passate a stretto contatto con i pazienti. Ed è proprio in questi momenti che la responsabilità verso la comunità che si è scelto di proteggere convive con la paura verso chi si è scelto di amare. E che può portare alla disperazione. Anche di chi sta accanto a queste Eroine silenziose.





«Mamma attenta alla zampa del virus» sono le parole pronunciate dalla figlia di 3 anni di Donatella Ventura, specialista in immunologia e allergologia all’ospedale Luigi Sacco di Milano. Le sue giornate sono scandite in turni di 11 ore a stretto contatto con malati Covid-19 ma protegge la sua famiglia limitando il più possibile qualunque rapporto. In una toccante intervista al Corriere della Sera, Donatella racconta come è essere essere mamma e medico ai tempi del Coronavirus: «Ho disposto alle mie figlie di 3 e 17 anni che stiano lontane. Ci si vede su Whatsapp, ci si incontra in casa in stanze differenti. Non entrano nella mia camera da letto, non usano il mio bagno e tutte e due devono usare la mascherina. La piccola non capisce il motivo per cui mamma non può andare da lei quindi mi dice “Mamma attenta quando esci, c’è la zampa del virus” oppure mi si avvicina alla gamba, la abbraccia e poi dice “ma stai bene mamma?”. Quindi c’è uno stato di preoccupazione che lei vive, perché le viene trasmessa indirettamente».

Ma nonostante la fatica fisica e mentale alla quale sono sottoposte quotidianamente queste donne (e uomini), quello che emerge è una forza interiore incredibile che cercano di trasmettere ai propri cari in tutti i modi possibili: da settimane parlano con i propri figli, mariti, compagni e familiari solo su Skype, “abbracciano” chi amano attraverso un vetro, urlano il proprio amore in un video messaggio, proteggono chi hanno attorno rinunciando alle carezze, ai baci, ad ogni gesto di affetto. Nel momento in cui ne avrebbero più bisogno.





È a tutte le donne impegnate nella lotta contro il Coronavirus che diciamo grazie dal più profondo del nostro cuore, pronunciandolo anche a nome di tutte le nostre lettrici. Donne in prima linea in un momento storico in cui la vita dovrebbe essere il valore più profondo al quale aggrapparsi ogni giorno perché, anche in piena pandemia, una donna deve lottare il doppio per riuscire a conciliare lavoro e vita privata, come sottolinea Anna Fagiani, coordinatrice dei reparti di Terapia Semintensiva e Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile Ss. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria: «Ci sono molte donne nel nostro ambiente: medici, infermiere e OSS tutte sono molto impegnate. Molte di loro hanno i figli piccoli, devono gestire la casa, il lavoro, spesso devono fare la spesa per i genitori, perché non possono uscire. È una situazione pesante dal punto di vista femminile nel gestire più di quello che una donna fa normalmente».

Eroine silenziose che, nonostante tutto, non si arrenderanno mai.

Le donne forti sono come uragani.
Diventano indomabili, quasi irraggiungibili.
Non si fermano davanti a nulla. Sono discrete e amano quasi in segreto.
Hanno sguardi sicuri e il cuore pieno di lividi. Sorridono e ingoiano lacrime.
Loro, sono le donne che fanno la differenza.
Luna Del Grande

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