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Unorthodox, la miniserie in 4 puntate creata da Anna Winger e Alexa Karolinski per Netflix, racconta la storia di Esther Shapiro, ebrea chassidica di Brooklin che a 19 anni fugge da un matrimonio combinato e dalle rigide regole della sua comunità di Williamsburg. La vicenda si basa sull’autobiografia di Deborah Feldman “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche e fa riflettere su quanto sia ancora lunga la strada verso l’emancipazione femminile, dal momento in cui esistono ancora culture in cui la donna è sottomessa all’uomo e considerata utile a rivestire esclusivamente il ruolo di moglie e madre.

Come abbiamo reagito guardando Unorthodox

Unorthodox è un’opera che ci ha lasciato profondamente turbate al pensiero che nel 2020 ci siano ancora donne che si sentono obbligate a mettere al mondo un figlio; per sentirsi realizzate e per rispettare il volere del partner, della famiglia e (in questo caso) della propria religione, rinunciando ai propri sogni e desideri.  Magazine Femminile è il blog ufficiale de “Il momento Giusto”, campagna educazionale a cura di Gedeon Richter, che si occupa di informare le giovani donne riguardo la possibilità di preservare la propria fertilità (per poter decidere senza pressioni dettate dalla società il momento giusto per diventare madri) ed è piuttosto evidente quanto sia importante per noi tutelare la libertà di scelta riguardo il tema della maternità.

In questa serie tv è stata messa in scena una condizione femminile estremamente attuale, ma di cui si parla molto poco, dove proprio le stesse donne sono vittime e carnefici allo stesso tempo. Deborah Feldman, la scrittrice ora 33 enne che ha ispirato la miniserie afferma: “Ricordo di essere rimasta sorpresa quando sono andata al Sarah Lawrence College e ho seguito un corso di filosofia femminista in cui tutti mi hanno detto: “Hai lasciato il patriarcato!” Ho pensato: “Beh, se ho lasciato il patriarcato, dove erano tutti gli uomini in questo patriarcato? Perché erano sempre chinati sui libri mentre le persone che mi opprimevano erano donne? Perché le persone che mi hanno ferito di più sono state mia zia, la suocera, le insegnanti, l’addetta al Mikvah [il bagno rituale purificatore], la maestra di Kallah e la terapista sessuale? Perché sono sempre state le donne a farmi sentire ferita e tradita?”.

Forse è proprio su queste parole che si dovrebbe riflettere… quante giovani donne si trovano ancora oggi a dover affrontare i cambiamenti del proprio corpo, senza ricevere adeguate informazioni in famiglia e a scuola? Quante ancora vivono la sessualità come un tabù, la maternità come un obbligo e il fatto di volersi realizzare nella carriera come un atto egoistico, sentendosi costantemente giudicate?  Al di là della matrice religiosa in cui è coinvolta la protagonista di Unorthodox, non è raro scontrarsi quotidianamente con stereotipi che condizionano duramente l’universo femminile e limitano la libertà di espressione e di pensiero di ognuna di noi. Ed è proprio su questo che dovremmo riflettere: perché se siamo tutte d’accordo nel scandalizzarci per una ragazzina costretta a sposarsi, non facciamo altrettanto quando vediamo che la nostra collega, a parità di capacità e ruolo, percepisce uno stipendio inferiore rispetto al collega uomo? E perché continuiamo a domandare all’amica sposata “cosa aspetti a fare un figlio?” oppure, ancora, ad esempio, a giudicare la scelta di lavorare full time anche se è madre? Sono molti i comportamenti che possiamo modificare in noi stesse in primis per  sostenere l’emancipazione femminile.

È dalle donne più vicine a noi che dovremmo iniziare, aiutandoci e ascoltandoci l’un l’altra. Affinché, non ci siano più storie di donne che rinunciano alle proprie passioni, sogni e desideri solamente per accontentare il pensiero comune della società in cui vivono e che le vogliono perfette casalinghe, ottime mogli e madri prima dei fatidici “30”.

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